SFRATTI: DONNE – UOMINI

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Parità o intralcio?



Riceviamo e pubblichiamo la testimonianza di Rosanna, attivista Cub, che per 10 anni ha operato nel Movimento di lotta per il diritto alla casa.


La tensione dell’attesa, del non sapere che fine fai, normalmente nello sfratto crea tensione all’interno del nucleo familiare. Con il virus la situazione è pesantemente peggiorata.

Con questa premessa voglio condividere diverse esperienze che mi hanno particolarmente segnato e che credo sia utile rendere pubbliche.

Voglio parlare delle differenze nel sistema rispetto ad un “normale” sfratto, rilevabili quando uno sfratto riguarda “donne sole o donne con figli”.

La prima esperienza riguarda una donna italiana con un bimbo a carico. Il convivente abbandona figlio di 4 anni e compagna, senza nemmeno riconoscere gli alimenti (diritti legali negati perché lavora in nero). Lei “tosta” per tentare di sbarcare il lunario accetta un impiego con orari serali, cosa che la costringe a ricorrere ad una “tata”. L’intervento dell’assistente sociale, verificata la situazione, consiste nel proporre il rientro nella famiglia d’origine o la segnalazione al tribunale dei minori con il conseguente allontanamento del figlio o entrambi in comunità.

La donna cosciente e determinata a risolvere con le proprie forze la propria situazione, riesce a creare una rete di collegamenti che le permetterà di trovare un lavoro, casa ed autonomia! Mi ricordo quando l’ho vista, minuta-grintosa-combattiva-decisa a non voler più compromessi nella sua sfera affettiva.

La seconda esperienza riguarda una donna con 6 figli (di età compresa fra l’anno e i 12) e con la suocera di 74 anni. Il marito perde il lavoro e lo trova a Bologna. Chiediamo tempo per cercare una casa adatta per tutti, ma l’assistente sociale e l’assessore ai servizi sociali, propongono un distaccamento moglie e marito (ritenuto maleducato ed altezzoso, perché non ringrazia abbastanza quando riceve il pacco viveri!), distaccamento tra madre e tutti i figli, distaccamento tra fratelli e sorelle con l’incentivo di 300 euro alle famiglie disponibili ad accogliere i bambini, famiglie marocchine “per tutelare l’integrazione”. Proposte ritenute inaccettabili. Una mattina d’inverno, 12 carabinieri, l’ufficiale giudiziario, l’assistente ai servizi sociali e la padrona di casa SGOMBERANO con la forza la famiglia obbligandola ad uscire con il minimo indispensabile: ciabatte, tuta da ginnastica e poco altro.

Parte immediatamente la mobilitazione con un presidio durato 3/4 giorni davanti al Comune, ricevendo solidarietà da tante persone che ci portavano cibo e coperte, le donne, pur bisognose, chiamate ad accogliere i bimbi, entravano in comune ed uscivano urlando un sonoro No.

La consapevolezza dell’ingiustizia in atto cresceva perpretata dalle istituzioni,

compresa la parrocchia, sorda e garante della continuazione di questa ingiustizia.

Sfiancati dalla presenza e dal clamore si trova una soluzione in una comunità, TUTTI INSIEME, in attesa della casa a Bologna e della partenza futura.

Mi ricordo il senso di solidarietà, di fratellanza, l’autoorganizzazione quasi totalmente al femminile.

La terza esperienza riguarda una donna Marliana e la sua bimba con ritardi cognitivi. Il marito acquista casa e “sparisce”. La donna perde la casa non avendo autonomia economica,

il comune propone che la comunità africana del territorio se ne prenda cura in attesa che si liberi un posto nell’ausing sociale della zona o il rientro “molto gradito” in Mali. L’incontro con le istituzioni è stato spesso umiliante e denigratorio nei confronti della signora, con battute e illazioni. Si parte con un presidio permanente, trasformando la piazza del comune in un luogo di festa, accogliente nonostante le ripetute minacce delle varie forze dell’ordine. Anche questa mobilitazione ha portato ad una parziale soluzione: a piccoli lavori e tata, un anno e mezzo nell’ausing sociale purtroppo bloccata dalla questione covid, attualmente in attesa del reddito di cittadinanza.

Mi ricordo il mio stupore e quello della donna di fronte a più di 30 persone urlanti e minacciose all’uscita dal comune, perché una donna straniera era a dir loro stata “aiutata” togliendo “pane” agli italiani. Mi ricordo la stretta di mani nel passare in mezzo a loro.

Voglio concludere dicendo che gli strumenti a tutela della questione abitativa, sono ASSOLUTAMENTE inefficaci e fallimentari, per questo motivo credo che sia fondamentale autoorganizzarci, in un fronte comune. Pertanto l’unica soluzione praticabile è L’UNITA’ DELLE LOTTE DI TUTTI GLI SFRUTTATI CHE SIANO NATIVI O IMMIGRATI!