I lavoratori della psichiatria pubblica rivendicano sicurezza e incolumità sui luoghi di lavoro.

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Per una psichiatria al servizio dei pazienti e dei lavoratori.

Per un’assistenza psichiatrica nazionale universale, gratuita e di qualità, distinta e separata dalle funzioni repressive dello Stato.

di Mario Avossa, medico chirurgo, attivista Flna

L’ennesima aggressione omicida da parte di un paziente pericoloso ha fatto più clamore delle precedenti perché questa volta è stata uccisa una lavoratrice dipendente del Ssn, la psichiatra Barbara Capovani. I fatti di sangue si moltiplicano, atti di violenza incontrollati di pazienti psichiatrici sono ormai comuni: la maggior parte di questi resta lontana dalle cronache perché avvengono nell’ambito familiare, cui gli organi di stampa portavoce dei capitalisti non concedono la medesima attenzione, derubricandoli come disgrazie individuali.

Queste vittime non sono inevitabili. Sono conseguenza del disastro sanitario di cui sono responsabili i governi – di ogni colore e alleanza politica – che stanno distruggendo, anno dopo anno, l’assistenza sanitaria pubblica: quel che resta di quello che una volta era il Sistema Sanitario Nazionale, conquista del movimento operaio degli anni Settanta del secolo scorso.

Questo accade perché i governi al servizio degli interessi dei capitalisti stanno procedendo allo smantellamento del Ssn e al suo spezzatino in venti sottosistemi separati. Dal 2011 al 2021 sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi di euro, come denuncia uno studio Gimbe. Inoltre, la frantumazione regionale del Ssn in autonomie differenziate favorisce il definanziamento in tutto il Paese; la maggior parte proporzionale dei tagli è a svantaggio delle regioni meridionali e insulari. Nessuna risorsa del PNRR è messa in campo dal governo per potenziare il Servizio Sanitario Nazionale in termini di personale e di posti letto, prevedendo finanziamenti limitati all’industria edile: la conseguenza è una sovraproduzione edile non finalizzata a risorse cliniche, di fatto svincolata da esse.

Il sistema di assistenza psichiatrica è la cenerentola della sanità pubblica, fra i settori più depauperati, vicino alla paralisi. Liste di attesa lunghe, ambulatori in sedi precarie, lavoratori e professionisti della psichiatria sempre più sotto organico, con contratti arretrati sia nel profilo salariale che in quello normativo. Le Rems sono in affanno, le urgenze psichiatriche sono trasferite alle forze dell’ordine sotto forma di problemi di ordine pubblico; il trattamento sanitario obbligatorio (Tso) sostituisce la carenza di assistenza sanitaria urgente come atto non terapeutico, spesso violento, talora concluso con la morte del paziente.

La discontinuità delle cure o la loro impossibilità lascia i pazienti in balia di sé stessi o delle loro esauste famiglie. Il paziente psichiatrico non ottiene cure né controlli calendarizzati e organizzati: nei più gravi di essi lo scompenso è evento molto probabile.

Il contesto generale è dato da pazienti che non ricevono adeguate cure e operatori che non lavorano in sicurezza; ospedali e presidi territoriali sguarniti di personale e di strumenti organizzativi per affrontare i bisogni delle persone; le case di comunità sono edifici semivuoti; interi quartieri non sono presidiati, l’assistenza di prossimità è solo immaginazione di politici al servizio dei ceti egemoni e di pubblici amministratori.

I portavoce del governo e i loro alleati strumentalizzano i fatti di sangue per reclamare una torsione securitaria. Da una parte, invocano misure d’ordine e chiedono la detenzione penitenziaria; dall’altra attaccano i principi che erano alla base della legge 180, la cosiddetta legge Basaglia.

Le misure d’ordine non hanno nulla di terapeutico, riportandoci ai tempi delle contenzioni e delle punizioni corporali: non risolvono alcun problema; d’altra parte, possono essere impiegate come abuso repressivo contro oppositori sociali e politici: ed è già successo, anche in Italia.

Franco Basaglia ha realizzato una psichiatria di tipo clinico e non securitario: le istituzioni psichiatriche non avrebbero dovuto più essere tetri manicomi ma strutture cliniche a misura d’uomo e di terapia. La sua proposta è stata fraintesa e alterata: nel quadro del definanziamento del Ssn, è stata presa a pretesto per il progressivo depotenziamento delle strutture cliniche pubbliche. È in corso un attacco alle conquiste civili e scientifiche della psichiatria democratica del XX secolo, frutto delle lotte operaie di quel periodo.

I lavoratori della psichiatria rivendicano sicurezza e incolumità per sé e per i pazienti. Sono due aspetti correlati: sintetizzano l’alleanza di classe fra professionisti della psichiatria e pazienti da loro curati. Rivendicano la ri-pubblicizzazione del Ssn, il pieno finanziamento e potenziamento delle strutture clinico assistenziali; organici adeguati, turni commisurati al particolare impegno professionale, strutture operative consone alle peculiari necessità dell’utenza, efficienza organizzativa e amministrativa, tutela sanitaria psicofisica, ampia dotazione strumentale; i contratti sono fermi da anni, è l’ora di aumenti stipendiali significativi e di miglioramenti concreti dei quadri normativo e previdenziale, rivedendo anche l’età pensionabile. 

I diritti dei lavoratori e delle lavoratrici della salute psichiatrica per esercitare in piena serenità sono gli stessi diritti delle masse popolari di fruire di un’assistenza sanitaria universale, gratuita ed efficiente. Occorre potenziare le assemblee dei lavoratori, costruire momenti di lotta nel percorso rivendicativo, di cui lo sciopero è elemento determinante. Occorre contrapporre agli attacchi dei capitalisti – mediati dai loro governi – contro la sanità pubblica una nuova stagione di lotte per costringere i governi borghesi a farsi da parte. Saranno i lavoratori a prendere le redini della sanità pubblica e mettere a disposizione delle masse popolari la loro professionalità e il loro impegno civile.

https://www.gimbe.org/osservatorio/Report_Osservatorio_GIMBE_2019.07_Definanziamento_SSN.pdf

https://e-review.it/salustri_regime_fascista_e_utilizzo_dei_manicomi_per_il_controllo_degli_antifascisti