Rappresentare sì, ma chi?

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8 anni di falsa rappresentanza

8 anni fa, esattamente il 10 gennaio 2014, è stato siglato, limitatamente al settore privato, l’accordo interconfederale tra le segreterie nazionali di CGIL, CISL, UIL e Confindustria sulla rappresentanza sindacale. Per dirla con le parole sibilline dei confederali e di Confindustria “per determinare maggiore chiarezza e trasparenza nelle relazioni industriali e contribuire a migliorare il quadro di riferimento per tutti coloro che vogliono investire nel nostro Paese”. In realtà si tratta di un accordo antidemocratico e padronale, con il quale si scippa ai lavoratori la possibilità di scegliere liberamente i propri rappresentanti sindacali, vincolando tali ruoli alla selezione concertativa e con cui, parallelamente, si limitano il diritto di sciopero e le possibilità di mobilitazione dal basso.

Si tratta infatti probabilmente dell’accordo sindacale più reazionario avallato dai dirigenti del sindacalismo confederale, dopo la cancellazione della Scala Mobile del 1992, altro passaggio emblematico che quest’anno vede il suo nefasto anniversario e su cui torneremo presto a concentrarci.

L’accordo della vergogna ha avuto poi l’adesione di altre direzioni sindacali: va detto che purtroppo, oltre agli altri sindacati di regime come Ugl o Cisal, subito accodatisi alla firma, anche numerosi sindacati autonomi e di base, tra cui Orsa, Confederazione Cobas e Usb, nonostante una prima fase di contestazioni, hanno capitolato giungendo alla firma degli accordi.

Il Coordinamento No Austerity (poi divenuto Fronte di Lotta No Austerity) unì attivisti sindacali di tutto il Paese e numerose realtà lavorative e di lotta in una battaglia comune per contrastare questo accordo: una campagna che raccolse moltissimi consensi e tante adesioni e che ha certamente contribuito a limitare lo scivolone anche di parte del sindacalismo di base verso la firma dell’accordo di rappresentanza.

Va infatti riconosciuto in questo panorama che alcune sigle, tra cui citiamo Slai Cobas, Cub, Sicobas, Usi, Unicobas, hanno resistito alla “tentazione della firma”, peraltro non senza accese e preoccupanti discussioni interne ancora in corso! In particolare alcune sigle non firmatarie del vergognoso accordo hanno fino ad oggi puntato a ottenere una legge sulla rappresentanza da sostituire agli accordi, togliendo la gestione esclusiva dei sindacati confederali in materia di rappresentanza. La convinzione di chi ha mosso questa azione legalitaria è quella che una eventuale legge dovrebbe rifarsi ai dettami costituzionali di democrazia e diritto di espressione, per cui – sostengono – un testo parlamentare non potrebbe essere peggiore dell’attuale accordo perché in tal caso diverrebbe incostituzionale.

In verità per quanto ci concerne non ci entusiasma affatto consegnare la lotta dei lavoratori nelle mani di uno dei parlamenti più reazionari della storia italiana: riteniamo che si sottovaluti il ruolo delle istituzioni nel saper volgere sempre norme e regole, incluse quelle costituzionali, a vantaggio dei padroni e dei governi; per questo riteniamo più efficace puntare su forme autorganizzate di rappresentanza e di mobilitazione su modello dei consigli di fabbrica e dei consigli dei delegati degli anni 70 che, seppur non ufficialmente riconosciuti da aziende e istituzioni, restano ad oggi le esperienze più efficaci di rappresentanza e di organizzazione di base sul posto di lavoro (basti vedere l’esperienza di lotta del Comitato Tutti a bordo – No Ita dei lavoratori Alitalia e del Collettivo di fabbrica Gkn).

Il TESTO UNICO SULLA RAPPRESENTANZA in sintesi si propone di limitare la conflittualità sindacale e in particolare spuntare lo strumento dello sciopero agendo:

1) Sulla misurazione e sulla titolarità della rappresentanza sindacale, dove chiaramente i meccanismi borghesi agevolano la forza numerica e organizzativa dei sindacati di sistema mentre disperdono le forze di quelli non allineati.

2) Sulla titolarità delle contrattazioni collettive nazionali ed aziendali, da concentrare esclusivamente nelle mani avare e interessate della concertazione e del collaborazionismo.

3) Sulle sanzioni da applicare in caso di mancato rispetto degli accordi, ossia multe e bando dai tavoli di trattativa.

4) Sulle regole di partecipazione e di funzionamento delle RSU e degli RLS, con la facoltà di parteciparvi solo a condizione della firma degli accordi e, parallelamente, della moderazione nella conflittualità sindacale.

5) Sulla decadenza dal ruolo di Rsu per i rappresentanti non in linea con le segreterie sindacali.

In sostanza si è operato un ricatto esplicito e violento per neutralizzare le lotte dei lavoratori, mettendo in un angolo sia le minoranze sindacali conflittuali all’interno di Cgil, Cisl e Uil, sia il sindacalismo di base, imbrigliandolo e istituzionalizzandolo.

Tale atto oltre a segnare un passaggio definitivo del sindacalismo confederale nel ruolo di alfiere del sistema capitalista e di cogestore del potere costituito ha anche segnato, a nostro avviso, uno smacco determinante per il sindacalismo di base, che di fronte alla minaccia di essere estromesso dagli enti bilaterali e quindi di fatto non riconosciuto neanche a livello locale, ha in molti casi accettato le imposizioni padronali.

L’accordo sulla rappresentanza del 2014 rappresenta una minaccia intrinseca alla capacità della classe operaia di organizzarsi e mobilitarsi, con una tendenza uniformante al ribasso persino oltre i tecnicismi specifici del testo. Infatti, sebbene tali regole non si applichino in Fiat/FCA/Stellantis, visto la fuoriuscita del gruppo ai tempi decisa da Marchionne, si applicano misure similari già da prima, altrettanto discriminatorie e repressive, che di fatto hanno ispirato lo stesso Accordo della vergogna; inoltre anche nel settore pubblico, dove il Testo non è in vigore, l’attacco al diritto di sciopero e alla conflittualità dei lavoratori, soprattutto attraverso la repressione degli attivisti più combattivi e le sanzioni a pioggia, sono ormai una pratica consolidata.

Intanto sono ricorrenti i tentativi (anche essi benedetti dalle segreterie di Cgil, Cisl, Uil) di ridiscutere la legge 146/90, già oggi una delle più restrittive di Europa sul diritto di sciopero, in modo da mettere definitivamente fuori gioco il sindacalismo conflittuale.

In un periodo storico i cui la borghesia italiana sta modellandosi sui meccanismi della globalizzazione, causando desertificazione industriale e disoccupazione, mentre si appella strumentalmente alla truffa della Green economy e al progresso tecnologico, non possiamo permetterci né una deriva totalizzante di un modello sindacale e politico collaborativo né la censura del diritto di sciopero, che rimane comunque l’arma più efficace a disposizione di lavoratrici e lavoratori.

Pertanto invitiamo lavoratrici e lavoratori:

1) a rilanciare dentro le proprie organizzazioni sindacali, sia firmatarie che non, la battaglia contro il l’accordo sulla Rappresentanza del 2014;

2) a inserire nelle rivendicazioni delle prossime mobilitazioni sul lavoro, il diritto dei lavoratori di scegliere liberamente i propri rappresentanti sindacali e la difesa del diritto di sciopero;

3) a non partecipare e, dove ce ne siano le condizioni, a boicottare le RSU/RLS elette con in meccanismi truffaldini dell’accordo del 2014 e a costituire invece, nei luoghi di lavoro, strumenti di rappresentanza autorganizzati e democratici, sotto il diretto controllo di lavoratrici e lavoratori.

Gennaio 2022

Fronte di Lotta No Austerity