BARI: CAMPAGNA DEL FLNA PER IL LAVORO E CONTRO I LICENZIAMENTI

6' di lettura

FERMIAMOLI CON LA LOTTA!


Il Fronte di Lotta No Austerity di Bari propone una raccolta firme da sottoporre ai sindacati dei lavoratori per la proclamazione di uno sciopero che apra una grande vertenza per il lavoro su tutto il territorio di Bari.

Con il pretesto della «transizione ecologica» le multinazionali, che da anni godono di ingenti finanziamenti pubblici, stanno annunciando una raffica di licenziamenti in particolare nel settore dell’automotive e di conseguenza su tutto l’indotto.
In realtà basterebbe confrontare i numeri degli addetti degli ultimi venti anni nelle fabbriche più grandi dell’area industriale barese con quelli attuali per comprendere che la mattanza era già cominciata da tempo. La rozza propaganda che cerca di contrapporre la salvaguardia dell’ambiente agli interessi dei lavoratori è facilmente smentita dalla totale assenza di piani industriali che avrebbero reso indolore il passaggio occupazionale da produzioni altamente inquinanti a produzioni più sostenibili (sempre che lo siano effettivamente).
E invece, anziché mettere in campo i necessari investimenti che una svolta epocale richiede, come sempre l’unica esigenza che è stata presa in considerazione è la salvaguardia dei profitti. Come? Attraverso delocalizzazioni e tagli pesanti ai costi più odiati dai padroni, quelli legati al lavoro.
Sempre nella zona industriale barese regna il falso mito dell’elevato volume occupazionale, una storia che ha origine dalla costante presenza di multinazionali che, dietro enormi finanziamenti elargiti dai governi locali, assumono personale per qualche anno per poi dichiarare cali di commesse (il più delle volte semplicemente dirottate altrove) e sbaraccare o bussare nuovamente a denari. In un caso o nell’altro mandando a casa centinaia di lavoratrici e lavoratori.
In tal senso esemplari sono i casi di finanziamenti regionali per pagare gli «incentivi ai licenziamenti» (vedi Bridgestone o Natuzzi) o gli ammortizzatori sociali che dovrebbero agevolare il reintegro degli operai ex-Om Carrelli da anni ormai lasciati in balìa di improvvisati investitori.
La realtà quindi è ben diversa dalla propaganda a cui per anni anche le burocrazie sindacali (prevalentemente confederali, visto lo scarso radicamento dei sindacati di base nelle fabbriche del territorio) hanno retto il gioco.

Una nuova fase

Se è vero che, come dimostrano anche gli esempi citati, le minacce di crisi, di chiusure e di licenziamenti si susseguono da anni, è altrettanto inconfutabile che la situazione stia toccando picchi mai visti prima.
La crisi economica, accentuata dalla pandemia, gli aumenti dell’energia, delle materie prime e della logistica, nonché la trasformazione dell’industria dell’auto per il passaggio dal gasolio all’elettrico, sono alibi utilizzati dai padroni per sferrare il più pesante attacco ai lavoratori e alle lavoratrici dal dopoguerra ad oggi. Al contempo, rappresentano una appetitosa opportunità per alimentare la macchina dei profitti con il supporto dei soldi del Pnrr i cui effetti indesiderati saranno poi riversati su quelle stesse classi subalterne con cui si è arrivati a una sorta di regolamento di conti.
Il settore automotive è quello che preoccupa maggiormente i lavoratori e le lavoratrici su tutto il territorio nazionale: a Gianetti Ruote (Monza e Brianza) e Speedline (Venezia) si sono aggiunte le minacce di licenziamenti di Bosch, Magneti Marelli, Caterpillar e Alcar Industrie, per citare solo le più grandi.

Il caso esemplare della zona industriale di Bari

Tuttavia le notizie di esuberi, licenziamenti e chiusure non sono limitate al settore automobilistico: a tenere in apprensione oggi la classe operaia sono i settori più svariati e la zona industriale di Bari ne è un esempio, purtroppo, particolarmente interessante.
Negli ultimi giorni del 2021 è arrivato l’annuncio – la cui immediata smentita è stata ulteriormente smentita (!) – di un pesante taglio al numero dei dipendenti della multinazionale tedesca Bosch: circa 700 dipendenti (definiti «esuberi strutturali») su un totale di 1700, per arrivare in cinque anni alle 1000 persone di cui parla da tempo la direzione aziendale. E, addirittura, la verità è ancora più drammatica se si considera che, alla luce delle produzioni non diesel previste per lo stabilimento barese, la necessità di manodopera non dovrebbe superare le 450 unità, il che metterebbe a rischio l’esistenza stessa del sito produttivo.
È necessario ricordare che lo stabilimento Bosch della zona industriale di Modugno, a pochissimi chilometri da Bari, è stato un centro produttivo di rilevanza mondiale: sul finire degli anni Ottanta, ancora di proprietà Fiat, fu realizzato il primo motore diesel common rail, un gioiello di tecnologia che rivoluzionò il mercato automobilistico, determinando il trionfo della propulsione diesel su quella a benzina. Una decina d’anni dopo fu ceduto alla Bosch, senza alcun contraccolpo per i lavoratori che nel panorama occupazionale locale hanno vissuto per alcuni anni una tranquillità solo apparente, considerando le costanti minacce di esuberi con cui la direzione aziendale raggranellava finanziamenti dagli enti locali.
La medesima situazione la vivono i lavoratori e le lavoratrici delle più grandi aziende del settore, dalla Magneti Marelli (900 dipendenti) alla Magna ex Getrag (900 dipendenti) fino alla Dana Graziano ex Oerlicon (500 dipendenti). Come dicevamo, però, le situazioni di crisi si sono allargate a macchia d’olio fino a interessare i settori più disparati. In particolare citiamo il caso della società Remote Servise Holding (Rsh), ex Brsi, settore dell’assistenza informatica, che ha comunicato il licenziamento collettivo di tutti i 78 lavoratori della sede di Bitritto (Bari), dopo il provvedimento del giudice del lavoro che nei giorni scorsi ha bloccato i trasferimenti alla sede siciliana di Misterbianco (Catania). Una vera e propria ritorsione quella con cui la società ha motivato, in una lettera ai sindacati, la «chiusura del sito produttivo e impossibilità al mantenimento dei lavoratori con conseguente riduzione di personale». C’è poi il caso dei 150 operai della Baritech, ex Osram, azienda nella zona industriale di Bari che per decenni ha prodotto lampadine e che nell’ultimo anno si è specializzata nel tessuto delle mascherine anti covid; la Martur, attuale proprietaria, ha minacciato di sostituire tutti i lavoratori con personale «più specializzato».

«Resistere un minuto più dei padroni»

La zona industriale di Bari è salita alla ribalta anche per una piccola vittoria operaia, quella di Michele, uno dei due operai che la Skf licenziò nel 2020 in quanto ritenuti responsabili di aver prodotto cuscinetti difettosi e aver causato un grosso reclamo, tanto da mettere a rischio addirittura lo stabilimento. A distanza di quasi due anni, il tribunale ha finalmente riconosciuto che Michele aveva ragione, che il licenziamento era ingiusto e che dovrà essere reintegrato nel posto di lavoro. Certamente una soddisfazione, che è arrivata grazie anche al sostegno costante del Comitato contro i licenziamenti nato proprio per ricostruire il terreno dell’unità delle lotte operaie di fronte a questi durissimi attacchi.
Lo sa bene Michele e lo sappiamo bene anche noi che si tratta solo di una piccola vittoria che, come abbiamo visto nel caso della sentenza Rsh, può essere ridimensionata se non ribaltata in ogni momento dalla forza imponente di multinazionali senza scrupoli e dice bene Michele quando sostiene che sarà necessaria una nuova resistenza in cui vinceremo solo se la classe operaia sarà unita e resisterà «un minuto più dei padroni».

La mattanza in arrivo

È questo il clima che si respira nella zona industriale di Bari così come nelle aree industriali di tutto il Paese ed è facilmente percepibile l’acre odore della mattanza in arrivo. Solo che stavolta, di fronte a questo attacco imponente, a poco serviranno gli inviti, da parte delle burocrazie sindacali, al senso di responsabilità delle istituzioni e della «politica» o dei padroni… tanto più se lo stesso invito è rivolto anche ai lavoratori: è in atto uno scontro che li vede da sempre dalla parte opposta della barricata e che oggi è più che mai polarizzato.
Tanto meno in questo clima saranno raccolti dai padroni inviti delle istituzioni o delle task force regionali alla responsabilità sociale, alla diversificazione e agli investimenti che tengano conto del territorio e delle persone che lo abitano. Le promesse di nuove misure che rendano attrattiva la reindustrializzazione o i «pacchetti all inclusive» che contengono l’illusione di riqualificazione e ricollocamento di migliaia di lavoratori e lavoratrici verranno rispediti al mittente.
Sebbene ultimamente la Puglia (come il tutto il Sud del Paese) non sia terreno fertile di grandi lotte operaie, ci troviamo di fronte a quella fase storica dove la radicalizzazione delle vertenze e delle conseguenti rivendicazioni sarà inevitabile. Anche il mito della cassa integrazione «che al sud è meno pesante che al nord» andrà smontato e, specie i giovani operai, sempre più precari, ne sono già consapevoli.
Non si parte da zero: sebbene ancora acerbi e certamente da migliorare, ci sono strumenti come il Comitato contro i licenziamenti o l’Assemblea dei lavoratori e delle lavoratrici combattivi/e nonché il Fronte di Lotta No Austerity presenti da anni nelle vertenze (Om Carrelli, Bridgestone, Transcom, giusto per citarne alcune).
E non abbiamo solo questi strumenti, ma anche la risposta agli attacchi padronali perché, come ampiamente spiegato da Trotsky nel Programma di transizione, con il capitalismo in rapida decomposizione «la disoccupazione e il carovita, esigono parole d’ordine e metodi di lotta generalizzati» e la conseguente riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario non è più rinviabile.

Insorgiamo!

A supporto di queste esperienze, nel mese di febbraio, l’#Insorgiamo Tour organizzato dai lavoratori e dalle lavoratrici Gkn è sbarcato anche in Puglia ed è stata un’occasione per attingere forza dall’esperienza di alcune centinaia di operai organizzati in un collettivo di fabbrica che hanno dato un esempio di lotta all’intero Paese, non solo per difendersi dall’ennesima delocalizzazione imposta da fondi e multinazionali, ma per tentare di costruire i necessari rapporti di forza che da troppo tempo sono evidentemente a nostro sfavore. Unendo la loro vertenza alla straordinaria lotta dei lavoratori e delle lavoratrici Alitalia hanno evidenziato tutti i limiti dell’isolamento e delle divisioni, una tara consolidata della stragrande maggioranza delle direzioni sindacali.
E stavolta gli operai non saranno soli perché anche gli studenti hanno capito di doversi unire ai lavoratori: a Roma gli studenti in occupazione hanno invitato i lavoratori Alitalia del Comitato Tutti a Bordo No Ita, a Firenze gli studenti hanno organizzato dibattiti con gli operai della Gkn. E così hanno fatto i lavoratori e le lavoratrici nelle manifestazioni studentesche di questi giorni e così sarà anche il 25 marzo in occasione del nuovo sciopero globale per il clima e il giorno dopo per la chiamata nazionale del collettivo di fabbrica Gkn.
Siamo sotto attacco dei padroni e del governo e non abbiamo altra strada che fermarli con la lotta. Quindi… insorgiamo!

Nessun lavoratore deve perdere il posto di lavoro! Nessun lavoratore deve restare senza salario!

Firma e condividi la petizione e contattaci sul nostro indirizzo email: [email protected] per raccontarci la tua condizione sui luoghi di lavoro e per rimanere informato sulle prossime iniziative.

Seguici anche sul sito www.frontedilottanoausterity.org

e sulla pagina Facebook www.facebook.com/coordnoausterity

Bari, 11 marzo 2022