PROTOCOLLO SICUREZZA COVID-19: LA CONTROINFORMAZIONE DEL FLNA

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Il 24 marzo il governo, Confindustria e le direzioni di Cgil, Cisl e Uil, hanno aggiornato il protocollo d’intesa recante le misure di “sicurezza” che dovranno essere rispettate nella cosiddetta Fase due, ossia la fase successiva al già irrisorio e farsesco “blocco” che avrebbe dovuto caratterizzare la Fase uno. In questo documento proponiamo un punto di vista contrapposto al Protocollo, un testo che si basi sugli interessi di classe dei lavoratori e che smentisca la favola del “lavoro in sicurezza”, poiché all’interno di questo sistema economico basato sul profitto, il lavoro, in ogni sua forma, direttamente e indirettamente, è la principale causa di contagio del Covid 19. Ed è per questo motivo che noi fin dall’inizio rivendichiamo lo stop di tutte le produzioni non realmente essenziali a fronteggiare l’emergenza, garantendo l’approvvigionamento in sicurezza dei beni di prima necessità e un salario di emergenza garantito a lavoratrici, lavoratori e disoccupati. Questa rivendicazione è l’unica che può consentire di circoscrivere i settori che dovranno continuare a lavorare e garantire loro l’applicazione di misure di sicurezza realmente efficaci.

COSA PREVEDE IL PROTOCOLLO

Mancata attuazione

In primo luogo l’oggetto della norma è la “mancata attuazione” del protocollo, pertanto non viene messo in discussione il documento in sé, né sarebbe possibile farlo, poiché significherebbe sconfessare il documento stesso. Inoltre è prevista oltre alla sospensione, anche la riduzione delle attività nel caso in cui le misure contenute nel protocollo non venissero rispettate, opzione che di fatto vanifica la sospensione e che probabilmente prevarrà. È infine previsto l’uso di ammortizzatori sociali, vale a dire che ogniqualvolta i padroni non garantiranno il rispetto delle condizioni di sicurezza che essi stessi hanno sottoscritto, le eventuali sospensioni o riduzioni delle attività saranno a carico della collettività, perché bisogna dirlo: la cassa integrazione è un finanziamento di stato ai padroni a carico dei lavoratori. Quindi non solo non sono previste sanzioni in seguito a mancanze che potrebbero costare la vita ai lavoratori, ma nemmeno si fanno carico di garantire la continuità salariale ai loro dipendenti.

Favorire il confronto con le rappresentanze sindacali

Dal 2014, anno di sottoscrizione del Testo unico sulla rappresentanza (TUR) da parte di Confindustria con le direzioni di Cgil, Cisl e Uil, le Rsu sono espressione di un compromesso al ribasso coi padroni che limita il diritto di sciopero e vincola i delegati alle indicazioni delle segreterie sindacali.
Per le piccole imprese verrà demandato tutto ai funzionari territoriali, con quello che ne conseguirà in termini di linea sindacale da tenere.

Responsabilità
Con l’obbligo di informazione da parte dell’azienda, che certificheranno attraverso i soliti moduli da firmare, si scaricano le responsabilità sui lavoratori: se ti ammali nonostante il rispetto del protocollo, loro hanno rispettato le norme concordate con governo e sindacati; se ti ammali perché non hai rispettato il protocollo, loro ti avevano informato e lo dimostreranno mostrando la firma del lavoratore; se il padrone non rispetta nemmeno le norme previste, il lavoratore non potrà comunque dimostrarlo.

Rimodulazione di spazi e livelli produttivi
Il testo non prevede riduzioni di orario di lavoro a parità di salario. Ogni lavoratore sa benissimo che la rimodulazione di livelli produttivi per ridurre il numero di personale contemporaneamente presente in fabbrica non si tradurrà in meno produzione, ma in aumento del carico di lavoro per mantenere la stessa produttività di prima, senza dimenticare che un maggior stress psicofisico può portare anche a un indebolimento delle difese immunitarie.Né del resto potrà essere applicabile la rimodulazione degli spazi per gli operai di produzione, manutenzione e qualità che, come è noto ai lavoratori (meno a chi ha scritto questo protocollo), dovranno coadiuvarsi costantemente e a stretto contatto in prossimità dei macchinari delle varie fasi della produzione.

Indotto
Il protocollo si basa su un modello ideale di mondo del lavoro che nella realtà non esiste. Mentre i grandi colossi industriali ostentano modelli di sicurezza benedetti da famosi scienziati e pubblicizzati da importanti trasmissioni televisive, l’intero universo indotto annesso alle grandi produzioni dell’alta borghesia, composto prevalentemente da piccole e medie imprese che costituiscono oltre il 75% del tessuto industriale del Paese, lontano dalle luci dei riflettori mediatici e caratterizzate da livelli minimi o inesistenti di sindacalizzazione dei lavoratori, si guarderanno bene dal mettere in campo anche le blande e inefficaci misure del Protocollo sicurezza.


smart work, ferie, sospensione mansioni non essenziali

Il protocollo prevede di limitare gli accessi dei lavoratori in fabbrica e in ufficio. A tale scopo sono previsti lo smart working (lavoro da casa) e la sospensione delle mansioni non ritenute essenziali per la produzione aziendale, prevedendo il ricorso agli ammortizzatori sociali (quindi a soldi pubblici) o all’utilizzo delle ferie. Per quanto riguarda lo smart working, ovviamente è applicabile solo per gli impiegati, ma con la mancanza in Italia di una normativa che regoli l’utilizzo di questo strumento, si corre il rischio di lavorare, a parità di salario, molte più ore da casa rispetto all’ufficio. Inoltre per molte donne ciò si riduce al dover coadiuvare il telelavoro con le esigenze della cura dei figli lasciati a casa da scuola, con tutte le difficoltà che ne conseguono: è per questo necessario pensare a una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

Per quanto riguarda la sospensione delle mansioni non essenziali, il testo è molto vago e non specifica quali siano tali mansioni. Se ci riferiamo alle attività “non essenziali” riconosciamo la chiusura di tutta una filiera produttiva, ma all’interno di un sito produttivo l’unica mansione non essenziale che ci viene in mente è quella legata alle pulizie, ovvero la cosa meno essenziale se vogliamo rispettare alla lettera i dettami dell’accordo. Laddove venissero realmente chiusi alcuni reparti produttivi invece, è prevista oltre alla cassaintegrazione, che non è infinita, anche il ricorso alle ferie. Ricordiamo però, che a termini di legge, le ferie, che minimo sono quattro settimane, devono essere fruite mettendo sullo stesso piano le esigenze psicofisiche del lavoratore alle esigenze produttive dell’azienda, senza che quest’ultime in nessun modo prevalgano sulle prime.

Mascherine

Per rendere i luoghi di lavoro più sicuri e ridurre i rischi di contagio è chiaro che non basta rilevare la scansione termica all’ingresso dei luoghi di lavoro poiché non ha nessuna reale efficacia nel contenere il contagio: la febbre è solo uno dei sintomi, che spesso si sviluppa dopo giorni in cui si è positivi ed esistono persone che non manifestano alcun sintomo (asintomatiche).

Un chiarimento ulteriore è invece necessario in merito ai dispositivi di protezione per le vie respiratorie che non possono essere utilizzate indiscriminatamente per la difesa da un agente biologico virale come il coronavirus SARS-CoV-2, poiché per una adeguata protezione dal rischio di contagio è necessario distinguere la protezione passiva da quella attiva.

Le “mascherine chirurgiche” sono dispositivi medici (con la loro specifica normativa), ma non sono dei DPI. E quindi non sono state normate, progettate, realizzate e classificate per proteggere il lavoratore da contagio da SARS-CoV-2, ma per impedire a medici e infermieri di diffondere per via respiratoria particelle contagiate a malati. Quindi garantiscono una protezione passiva molto bassa e non proteggono dai virus presenti negli ambienti di lavoro o in zone a rischio. Tra l’altro creano una falsa fiducia nel lavoratore, che pensa di essere protetto e che quindi è portato a trascurare l’altra misura fondamentale di prevenzione che è la distanza interpersonale.

In merito all’utilizzo delle mascherine protettive vi è poi un allarme degli esperti medici, poiché si ritiene che un uso prolungato in attività sulle postazioni sia “come tenere la testa dentro sacchetto di plastica e respirare”

La mascherina limita l’entrata di ossigeno nei polmoni aumentando i livelli di CO₂ nel sangue. La carenza di ossigenazione – spiegano gli esperti – può provocare numerosi problemi, soprattutto nei soggetti che la indossano per più di due ore al giorno; persino il cuore può risentirne. Inoltre indossarla regolarmente ogni giorno e per più ore consecutive può attivare la proliferazione di funghi attorno all’area naso/bocca.

A questo quadro va aggiunto che il dispositivo di protezione individuale che sarà obbligatorio per tutti anche nei mesi più caldi come previsto dalla fase 2, può portare ad avere problematiche come emicrania, capogiri, confusione mentale, herpes, fiato corto, tachicardia, innalzamento pressione arteriosa, abbassamento difese immunitarie.

Distanziamento

Il distanziamento rimane la più importante ed efficace barriera naturale, ma il lavoro nelle fabbriche non è organizzato per implementare misure anti-contagio in caso di pandemia. Per questo non è quasi mai attuabile il distanziamento di sicurezza.

Inoltre, questa situazione di emergenza porta a dei cambiamenti del modo di lavorare e di produrre ed è necessario, nei settori di lavoro essenziali, diminuire la presenza fisica dei lavoratori nei luoghi di lavoro delle attività essenziali, non solo attraverso lo smart working, ma anche intervenendo sull’organizzazione del lavoro, attraverso la riduzione dell’orario di lavoro e rimodulando i turni con un distanziamento di non meno 2 ore al giorno, modificando gli orari di fine e inizio turno, così permettendo l’igienizzazione degli spogliatoi, dei servizi igienici e degli ambienti comuni da parte dell’impresa di pulizie e sanificazione.

Limitazioni spostamenti interni, deroghe locali

Al fine di evitare gli assembramenti, il protocollo limita gli spostamenti dei lavoratori all’interno del sito produttivo, cioè limita gli accessi ad aree comuni quali spogliatoi, bagni, corridoi e mense. Sappiamo come questo nelle fabbriche sia di difficilissima attuazione. Ogni lavoratore deve andare al bagno più di una volta nelle sette-otto ore del turno e quindi servirebbe un servizio di pulizia e sanificazione permanente all’interno dei bagni. Gli spogliatoi possono essere chiusi, ma questo comporterebbe il fatto di dover andare a casa con abiti di lavoro sporchi, aumentando il rischio di contaminazione dei mezzi pubblici o della propria automobile (ben sappiamo che il virus resiste parecchie ore sulle superfici). Chiudere la mensa comporta invece il fatto che il lavoratore sarebbe costretto a portarsi il cibo da casa, con quel che compete in termini di costi aumentati, e consumarlo magari nei pressi della propria postazione di lavoro, accrescendo così il rischio igienico-sanitario. Per aziende dove non sarebbe possibile attuare misure alternative di distanziamento, molte linee di montaggio o confezionamento hanno lavoratori che lavorano spalla a spalla, il protocollo prevede la possibilità di sottoscrivere deroghe coinvolgendo le rappresentanze sindacali aziendali o territoriali. In questo modo si rischia di peggiorare in loco ciò che è già pessimo a livello nazionale.

Casi di emergenza, procedure a seguito di casi positivi, dpi, spazi comuni

Dopo aver descritto tutte le misure necessarie per la prevenzione dal contagio è necessario analizzare le misure che l’azienda deve mettere in atto per evitare la diffusione del contagio; come nel caso di presenza in azienda di un lavoratore sintomatico o “contaminato”.

Su questo aspetto è fondamentale verificare:

– che il datore di lavoro comunichi immediatamente alle autorità sanitarie preposte la presenza del “soggetto sospetto”;

– che se il soggetto dovesse risultare contagiato, vengano effettivamente identificati e segnalati all’autorità sanitaria tutti lavoratori che, anche potenzialmente, possano essere entrati in contatto con il soggetto “sintomatico-contagiato”. Questo aspetto è importantissimo perché le aziende, per evitare la chiusura dell’attività, tendono a comunicare alle autorità un numero ristretto di soggetti potenzialmente a rischio.

Riunioni, assembramenti, trasporto e spese di trasporto

Sempre al fine di evitare gli assembramenti nel luogo di lavoro, nel protocollo sono vietate ogni forma di riunione sindacale presenziale, a meno che sussistano condizioni di urgenza. Corretto evitare assembramenti e cercare di limitare al massimo le assemblee dei lavoratori in questo periodo, ma ci pare un po’ dispotico inserire la norma nel protocollo. Saranno i lavoratori a decidere se e come riunirsi in assemblea – se on line o eventualmente a distanza magari all’aperto nel cortile della fabbrica – così come i lavoratori devono avere un controllo sulla sicurezza in fabbrica.

Sempre per evitare assembramenti, il protocollo “suggerisce”, alcune misure sul trasporto dei lavoratori che devono raggiungere il luogo di lavoro. Nel documento si consiglia di evitare i mezzi pubblici e di viaggiare con mezzi propri o con navette messe a disposizione dall’azienda, ma non vi è nessun obbligo per il padrone di accollarsi le spese del carburante, del parcheggio o di fornire un’automobile. Molti rimarranno costretti a servirsi dei mezzi pubblici e lo stesso protocollo non propone alcuna regolamentazione del trasporto pubblico.

Sorveglianza sanitaria e medico competente

In base all’accordo contenuto nel protocollo è il medico competente che deve effettuare una sorveglianza sanitaria specifica per individuare i lavoratori che, sulla base delle loro patologie, sono maggiormente esposti ai rischi connessi con il contagio da Coronavirus e, di conseguenza, necessitano di specifiche misure di prevenzione e protezione (minori, lavoratori oltre i 60 anni, lavoratori con nota immunodeficienza ecc.); questa misura vale, in particolare, per le donne in stato di gravidanza.

Il medico competente, che sappiamo essere pagato (a volte anche molto lautamente) dall’azienda, non può garantire una reale autonomia di giudizio su basi esclusivamente mediche; pertanto vi è il serio rischio che la valutazione dei rischi e le verifiche connesse possano essere orientate dai bisogni specifici dell’azienda stessa e per un RLS potrebbe risultare oltremodo complicato opporsi al parere scientifico di un medico.

In merito alla Medicina Preventiva vi è la possibilità di ricorrere a test sierologici del sangue per la ricerca di infezioni in corso, che pur non essendo test diagnostici e con una affidabilità non al 100%, risultano essere orientativi sulla situazione epidemiologica dei dipendenti in azienda. Noi pensiamo che sia utile sottoporre tutti i lavoratori a questo tipo di analisi per riuscire a prevenire e a combattere meglio la diffusione del Covid-19.

Comitati

E’ invece necessario costituire comitati locali di controllo autogestiti dagli operai, i quali potranno eventualmente coinvolgere gli operatori sanitari locali e le rappresentanze sindacali territoriali: solo i lavoratori possono stabilire quali siano le misure che tutelano la loro sicurezza senza che quest’ultima venga subordinata ai profitti dei padroni.