Manifesto politico operaio per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro

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A dodici anni dall’entrata in vigore del Decreto legislativo 81/08, la principale norma costituente il Testo unico sulla sicurezza e sul lavoro (TUSL), il contatore macabro degli infortuni mortali ci pone davanti una realtà drammatica, mettendo il sigillo al disastroso fallimento della legislazione borghese e degli accordi concertativi tra Confindustria e le direzioni di Cgil, Cisl e Uil. Per meglio rendere l’idea basti pensare che un terzo degli infortuni mortali dell’intera Unione europea avviene in Italia.

Tredicimila morti in un decennio, una media di 1300 morti l’anno che non accenna a diminuire: ogni giorno che arriva in terra, nella sola Italia, tre lavoratori non faranno ritorno a casa; una tragedia che irrompe prepotentemente nelle loro famiglie e continuerà consumarsi quotidianamente nella vita dei loro cari. E stiamo parlando dei soli dati Inail, che non computano l’enorme universo del lavoro nero, un quadro tragico a cui vanno aggiunti centinaia di migliaia di infortuni e di malattie professionali invalidanti.

Non possiamo continuare a tollerare il protrarsi di questo eccidio di Stato su mandato della borghesia!

Nel sistema economico capitalista i padroni hanno la proprietà privata dei mezzi di produzione e delle materie prime, si appropriano della ricchezza prodotta dai lavoratori, che vengono mantenuti per lo stretto necessario alla loro sopravvivenza: sopravvivere e riprodursi per produrre.

Nessun padrone orienta la sua produzione all’utilità collettiva, la fruibilità sociale è un valore in quanto requisito di una merce su cui fare profitto e accumulare capitale.

Su queste basi, a monte di ogni articolazione del processo produttivo, nessun infortunio (nessuno!) è ascrivibile a responsabilità dei lavoratori; e in qualsiasi caso, qualora sussistano condotte soggettive dei medesimi non conformi alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro, queste saranno sempre subordinate alle responsabilità oggettive dei padroni e del loro sistema economico e sociale: un peccato originale che nessuna legge borghese potrà mai battezzare.

Per questo noi lavoratori dell’industria, del commercio, dei trasporti e della logistica, della scuola e dell’università, della sanità, dell’agricoltura, dei servizi, operatori e attivisti sociali, militanti di organizzazioni politiche e di movimenti di lotta e di tutte le altre realtà aderenti al Fronte di lotta No austerity, in qualità di singoli individui consapevoli dell’appartenenza a una stessa classe sociale o di delegati a ruoli dirigenti e di rappresentanza in organizzazioni del movimento operaio e del proletariato, uniti dai comuni valori dell’anticapitalismo e dell’antifascismo e contro ogni forma di discriminazione di genere, razza e orientamento sessuale, promuoviamo e rivendichiamo un manifesto politico per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro articolato nei seguenti punti tematici:

L’attacco al diritto di sciopero è un attacco alla lotta per la sicurezza

Il palese tentativo della borghesia italiana di rendere inoffensivo il diritto di sciopero ormai sta giungendo al suo compimento totale. Lo sciopero è la principale arma dei lavoratori per rivendicare le proprie condizioni di sicurezza, la propria salute e il rispetto dell’ambiente nel quale vivono.

La contrazione del diritto di sciopero è approdata nei contratti nazionali di categoria con l’istituzione della cosiddetta «tregua sindacale» che vieta iniziative unilaterali (sciopero) sei mesi prima e un mese dopo la scadenza del contratto; nell’accordo interconfederale del 2014 (TUR) che baratta le agibilità sindacali (tra cui i RLS) con la rinuncia al conflitto e la subordinazione dei delegati alle burocrazie sindacali; in Gazzetta ufficiale con la famigerata legge 146/90 che nei servizi essenziali come scuola, sanità e trasporti vincola l’indizione e l’adesione allo sciopero a normative sempre più stringenti che ne limitano fortemente l’effetto, sbilanciandone i rapporti di forza (fasce orarie, comandate, tempo di preavviso e di durata dello sciopero, ecc). Inoltre, nonostante ex art.2.7 l.146/90, regolamenti lo sciopero nei casi di pericolo imminente per la salute e sicurezza dei lavoratori, esonerandoli dal rispettare le sue ristrettezze, rimane poi problematica l’attuazione in quanto, la valutazione dell’eventuale pericolo, non è in capo alle organizzazioni proclamanti o ai lavoratori, ma è sempre subordinata ad enti apparentemente terzi, come la commissione di garanzia, che è strettamente controllata dai governi e quindi dai padroni.

Rivendichiamo l’abolizione di tutte le norme e le leggi che limitano la piena libertà di esercizio del diritto di sciopero, arma fondamentale di tutte le lavoratrici e i lavoratori che lottano a difesa delle proprie condizioni di sicurezza e di salute per sé stessi, per l’ambiente circostante, per i territori e le popolazioni limitrofe.

Precariato

Nessun lavoratore, sotto il ricatto occupazionale, è libero di rivendicare le proprie condizioni di salute e sicurezza; nessuna legge borghese avrà efficacia fino a quando esisteranno forme di precariato intese come tipologie contrattuali di lavoro a tempo determinato e come assenza di tutele dai licenziamenti politici mascherati da licenziamenti disciplinari.

Affinché la sicurezza nei luoghi di lavoro sia un diritto imprescindibile, la cui rivendicazione debba essere libera da qualsiasi minaccia ricattatoria di licenziamento o mancato rinnovo contrattuale, chiediamo l’abrogazione della riforma Fornero, del Jobs Act, di ogni contratto atipico, a progetto o a tempo determinato e il ripristino e l’estensione alle realtà lavorative con meno di 15 dipendenti dell’ex art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Appalti

Il sistema degli appalti è una filiera al ribasso organizzata dai padroni per colpire la classe lavoratrice, dividerla e indebolirla, dove i committenti demandano agli appaltanti l’esecuzione dei più elevati livelli di sfruttamento.

In questo contesto la sicurezza dei lavoratori delle cooperative appaltanti è ulteriormente derubricata rispetto a quella dei lavoratori organici al committente. Il sistema previsto dalla legge e recepito sia dagli accordi interconfederali sia dai contratti nazionali di categoria prevede la separazione degli organismi di rappresentanza e deputati alla sicurezza, col risultato nefasto che medesimi lavoratori che spesso svolgono medesime mansioni, abbiano rappresentanti e figure di riferimento diverse.

Rivendichiamo parità di condizioni contrattuali e salariali per i lavoratori degli appalti con la costituzione di consigli per la sicurezza liberi e autonomi che comprendano i Rls delle società appaltanti incaricate sia di fornire servizi sia di espletare lavorazioni o fasi del processo produttivo terziarizzate.

Rappresentanza

La rappresentanza dei lavoratori per la sicurezza, la cui libera scelta democratica è già fortemente limitata dallo stesso TUSL che impone alle aziende con più di 15 dipendenti l’elezione del Rls all’interno delle RSU, ponendo questa figura sotto il controllo delle burocrazie sindacali, è ulteriormente compromessa con l’entrata in vigore del cosiddetto Accordo della vergogna sottoscritto da Confindustria con le direzioni di Cgil, Cisl e Uil: un accordo che apre le porte delle Rsu alle sole burocrazie sindacali compiacenti, lasciando fuori le sigle del sindacalismo conflittuale.

Pertanto chiediamo che in tutti i luoghi di lavoro l’elezione dei rappresentanti per la sicurezza siano regolate da libere elezioni su libere candidature, proporzionando adeguatamente il numero di rappresentanti al numero complessivo di dipendenti e dando copertura a tutte le squadre (in caso di lavoro a turni) e a tutti i reparti; riconosciamo nel ruolo del Rls i connotati politici e sindacali per dare voce alle rivendicazioni in tema di sicurezza e salute dei lavoratori e promuovere le azioni di lotta necessarie a raggiungerle.

Itinere

Il tragitto di andata e ritorno dalla propria abitazione al luogo di lavoro è letale per centinaia di lavoratori ogni anno. Seppure gli infortuni occorsi durante il suddetto percorso abbiano copertura assicurativa dall’Inail, nulla viene fatto in termini di prevenzione di quella che è una vera e propria ecatombe tributata al dio profitto.

Il trasporto dei lavoratori, sia in andata sia in ritorno dal luogo di lavoro dev’essere tutelato, retribuito e protetto attraverso il rafforzamento e l’implementazione del trasporto pubblico e gratuito dedicato, a totale carico del padronato senza oneri per l’utenza: i padroni si appropriano della ricchezza prodotta dal lavoro salariato, si facciano carico del trasporto dei lavoratori!

Istruzione e formazione

Per i padroni la formazione dei lavoratori all’espletamento delle loro mansioni è un ostacolo improduttivo da aggirare con i mezzi burocratici suggeriti dalle stesse leggi borghesi, dove è sufficiente far firmare al lavoratore documenti che illustrano i rischi connessi al suo lavoro e che «certifichino» l’avvenuta formazione del medesimo e la conseguente idoneità alla mansione. Tutti sanno che lo scenario reale è molto diverso: questi documenti sono utili solo ai padroni per dimostrare nei tribunali borghesi il rispetto formale degli obblighi di legge.

In questo sistema economico basato sul profitto la formazione del lavoratore è intesa dalle aziende come formazione finalizzata alla produzione: la sicurezza del lavoratore non è una finalità centrale per le imprese, ma accessoria, una conoscenza ausiliaria che il lavoratore acquisisce imparando a svolgere il suo compito produttivo.

Noi rivendichiamo la centralità della sicurezza e della salute dei lavoratori, ogni percorso formativo deve avere un lavoratore esperto nel ruolo di istruttore e una durata congrua suddivisa in tre fasi: osservazione, dove il lavoratore osserva l’istruttore senza partecipare all’attività lavorativa; pratica, dove il lavoratore svolge l’attività lavorativa insieme all’istruttore; controllo, dove l’istruttore osserva il lavoratore svolgere autonomamente la mansione. La formazione dovrà avvenire durante l’orario di lavoro, senza alcun obbligo di straordinario per il lavoratore dipendente.

Il bonus/malus e l’occultamento degli infortuni

L’Inail, come ogni altra assicurazione civile, stabilisce la tariffazione dei suoi premi in base alla formula bonus/malus, legando proporzionalmente il premio stesso all’andamento della sinistrosità per azienda, vale a dire – come per qualsiasi assicurazione RCA – che minore sarà il numero di infortuni, minore sarà la quota Inail che le aziende dovranno pagare. Una formula solo apparentemente progressiva, che a prima vista indurrebbe il padrone a disporre le misure necessarie alla prevenzione degli infortuni per risparmiare sui premi Inail. In realtà in questo sistema economico capitalista basato sul profitto le cose stanno diversamente: i padroni vogliono risparmiare sulle quote che devono versare all’Inail ed evitare spese di messa a norma dei macchinari, entrambe spese improduttive che riducono i loro profitti. Pertanto è pratica comune e spesso denunciata da molte realtà sindacali quella di occultare gli infortuni sul lavoro inducendo il lavoratore a prendersi un giorno di ferie o a mettersi in malattia, con il risultato che gli infortuni reali non corrispondono a quelli denunciati, le aziende non denunciano o denunciano numeri esigui di infortuni, scaricando i giorni di prognosi degli infortuni reali (non denunciati!) sulle già disastrate casse dell’Inps, oppure consumando ferie che dovrebbero essere decise secondo le esigenze dei lavoratori concordate col padrone.

Gli effetti di questa truffa sono diversi, per prima cosa le aziende pagano impropriamente tariffe basse per assicurare i lavoratori sulla base di un numero di denunce che non corrisponde agli infortuni reali, a questo dobbiamo aggiungere che gli infortuni reali vanno a ingrassare il numero di malattie che, in quanto tali, non solo sono a carico dell’Inps, ovvero della stessa fonte che deve erogare pensioni e ammortizzatori sociali, ma il falso incremento degli indici di malattia è bollato dagli industriali come «assenteismo», una «piaga», per dirla con la retorica padronale, che va combattuta contraendo il diritto alla malattia retribuita nei CCNL e proporzionando inversamente i premi di produzione agli eventi di malattia: più malattia, meno premio.

Per ultimo, ma non meno importante, un infortunio regolarmente denunciato potrà sempre essere riaperto qualora i suoi effetti tornino a manifestarsi nel medio e lungo termine. Diritto che il lavoratore perde se, su pressione del padrone, non denuncia l’infortunio.

Non possiamo più accettare che i padroni lucrino sulla nostra sicurezza e sulla nostra salute, rivendichiamo l’abrogazione immediata della formula bonus/malus per una tariffazione fissa sulla base di indici nazionali, dove l’eccedenza dal risarcimento assicurativo venga investita in prevenzione.

Il medico competente

La figura del medico competente, così come regolata dalla legge borghese, non garantisce l’autonomia necessaria dal potere dominante del padrone, esso, ai sensi dell’articolo 39 del decreto 81/08, può essere dipendente dell’azienda in cui presta servizio o libero professionista che con la stessa contrae un rapporto lavorativo, quindi economico da cui derivano interessi materiali, configurando un rapporto giuridico ibrido (retribuito da un privato ma con funzioni pubbliche o di pubblica utilità) che, da una parte, induce il padrone a nominare il medico competente sulla base del risparmio economico subordinando i requisiti oggettivi, dall’altra, inficia l’obiettività del giudizio e dell’operato dello stesso medico competente nello svolgere le delicate funzioni ad esso assegnate dalla legge.

Le conseguenze pratiche di questo sistema sono gravi, si pensi per esempio alla funzione di valutazione di idoneità alla mansione di un lavoratore o alla prescrizione di determinate limitazioni nello svolgimento dell’attività lavorativa del medesimo, dove un lavoratore può essere considerato inidoneo allo svolgimento di una mansione e un padrone che riesca a dimostrare di non avere possibilità di ricollocarlo a mansioni a lui adatte, lo licenzi per giusta causa; oppure, per converso, a un lavoratore realmente inidoneo a una mansione in cui viene dichiarato idoneo e si trova costretto ad adempierla, svolgendo un lavoro altamente insalubre per sé stesso e subendo, di fatto, una forma di mobbing.

Chiediamo l’intensificazione della collaborazione tra medico competente e Rls; l’annullamento di qualsiasi rapporto economico e interesse materiale tra il capitalista/proprietario e il medico competente: quest’ultimo deve essere un dipendente pubblico del sistema sanitario nazionale e deve poter svolgere il suo lavoro libero da ogni condizionamento materiale nell’interesse esclusivo della salute del lavoratore e senza esporsi al potenziale rischio di diventare uno strumento del padrone; le ASL devono costituire programmi di formazione per la figura del medico competente.

Il lavoro a turni

Il lavoro a turni è usurante e altamente nocivo, sia sotto l’aspetto fisico, poiché il metabolismo umano segue il ritmo circadiano (buio/luce) e il lavoro notturno porta i lavoratori ad abitudini alimentari incompatibili coi loro ritmi biologici, esponendoli a patologie annesse all’obesità, al diabete e a svariati disturbi del sonno; sia sotto l’aspetto psicologico e sociale, dove i lavoratori hanno difficoltà relazionali col mondo esterno a causa di una dinamica di vita difforme da quella prevalente nella società.

Inoltre il lavoro a turni, specialmente quello comprensivo di turnazioni notturne, compromette i livelli necessari di lucidità dei lavoratori esponendoli al rischio di infortuni anche mortali.

Rivendichiamo una regolamentazione del lavoro a turni che, associata a una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, ponga dei limiti finalizzati a ridurne l’impatto sulla salute individuale, collettiva e fisica, circoscrivendo il lavoro notturno alle sole categorie che per motivi di utilità sociale devono garantire una continuità lavorativa, introducendo rigidi massimali mensili di turni notturni e prepensionamenti senza perdite economiche per i turnisti.

Infortuni, malattie professionali e impatto ambientale

Se consideriamo l’infortunio un evento traumatico causato direttamente o indirettamente dall’attività lavorativa, che può portare a patologie acute come avvelenamento e asfisia, dobbiamo altresì considerare gli effetti insiti del lavoro salariato, vale a dire tutte quelle patologie fisiche e psicologiche il cui nesso causa/effetto le collega alla quotidianità lavorativa svolta in archi temporali medio-lunghi.

I movimenti che facciamo ogni giorno, l’aria e i vapori che respiriamo, i materiali e le sostanze che maneggiamo e ogni altro elemento che ripetuto per settimane, mesi e anni raggiunge una nocività importante sul nostro organismo, sono considerati dai padroni effetti collaterali della loro corsa al profitto e ogni azione volta a risolvere o arginare queste problematiche, una seccatura che comporta spese aggiuntive e rallentamenti della produzione.

I livelli di impatto sulla salute delle mansioni e degli ambienti lavorativi deve essere controllato da chi il lavoro lo svolge e ne subisce direttamente le conseguenze, insieme con le associazioni ambientaliste e i comitati territoriali, perché numerose malattie, anche letali e invalidanti, hanno una caratterizzazione di classe dovuta alle conseguenze ambientali di questo dissennato modo di produzione (vedi Terra dei fuochi, Ilva a Taranto, Caffaro a Brescia, Solvay ad Alessandria…).

Siano i lavoratori a controllare la loro sicurezza e a deciderne al riguardo!

Basta farse: lo Stato è dei padroni, solo con la lotta di classe potremo proteggere la nostra sicurezza!

In un sistema economico e sociale basato sullo sfruttamento di tanti per il profitto di pochi, nessuna legge sarà realmente efficace per la sicurezza dei lavoratori e nessun tribunale restituirà loro giustizia.

La magistratura borghese ha avvalorato decine di licenziamenti e di provvedimenti disciplinari verso lavoratori che si sono battuti per la sicurezza nei luoghi di lavoro e ha riservato impunità e pene irrisorie verso i responsabili di vere e proprie stragi in nome del profitto, badando bene, anche nei pochi casi in cui si è giunti a sentenze definitive di condanna, a colpire dirigenti medi e medio alti, ben pagati dai capitalisti per farsi, alla peggio, qualche mese di galera al posto loro.

Il tanto acclamato Decreto legislativo 81/08 non è avulso dall’intero complesso normativo dello Stato. Non esiste uno Stato buono che fa leggi per la sicurezza dei lavoratori e uno Stato cattivo che contrappone altre leggi che privano di efficacia le prime, esiste uno Stato solo ed è strumento della classe dominante, uno Stato che con una mano attacca i lavoratori e con l’altra omette di difenderli: due mani controllate da un’unica testa: il capitale.

È da qui che dobbiamo partire se vogliamo contrastare la piaga delle morti sul lavoro e qualsiasi altro problema che derivi dallo sfruttamento. La classe dominante, attraverso i suoi organi di disinformazione, diffonde nelle masse la propria cultura, inocula negli oppressi le mentalità funzionali agli oppressori, col risultato che la cantilena padronale dopo ogni infortunio verte sulle responsabilità dell’infortunato. Un’operazione meschina che – e qui sta il paradosso – è possibile solo in forza di leggi borghesi come il Tusl, utili a creare quel doppio binario su cui viaggia il sistema: da una parte il binario formale, quello delle rigorose norme di sicurezza e di tutti gli altri gusci vuoti ad uso e consumo della borghesia per pulirsi la coscienza in sostanziale impunità al cospetto della sua stessa legge; dall’altra il binario reale, quello dei lavoratori sotto ricatto economico e occupazionale, sotto le pressioni di capi e capetti pronti a venderli al padrone, dove nessun decreto interverrà a difenderli. Il binario dell’ortodossia antinfortunistica e quello dello stacanovismo corsaiolo alla caccia di plusvalore sono percorsi dallo stesso convoglio.

Un convoglio che viaggia spedito, investe e uccide milletrecento lavoratori l’anno.

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